Con la sentenza del 23 novembre 2023, C-321/22, la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata in merito a una domanda pregiudiziale, presentata da un giudice polacco, avente ad oggetto l’interpretazione di alcune norme della direttiva 93/13/CEE in materia di clausole abusive nei contratti tra professionisti e consumatori. Il giudice del rinvio, nell’ambito di tre controversie nascenti dalla conclusione di contratti di credito stipulati da consumatori diversi con il medesimo finanziatore, si interrogava su molteplici aspetti: da un lato, nutriva dubbi sia in ordine all’abusività delle clausole contrattuali relative al pagamento da parte dei consumatori di costi sproporzionati, diversi dagli interessi corrispettivi dei mutui, sia in ordine alle conseguenze dell’abusività di una (altra) pattuizione concernente le modalità di pagamento delle rate di rimborso; dall’altro lato, sospettava dell’incompatibilità con la direttiva di determinate regole nazionali riguardanti le condizioni procedurali dell’azione consumeristica volta ad accertare il carattere abusivo di clausole contrattuali.
Investita di tali questioni pregiudiziali, la Corte di giustizia si è soffermata in primo luogo sul carattere abusivo della clausola relativa a costi extra-interessi che preveda il pagamento, da parte di un consumatore, di spese o commissioni di importo manifestamente sproporzionato rispetto al servizio fornito in cambio dal professionista. A tal riguardo, la Corte lussemburghese avverte che il giudizio di abusività di una simile clausola deve tener conto di due aspetti.
Anzitutto, l’esame della sussistenza di un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti, propedeutico per la dichiarazione di abusività di una clausola contrattuale, non può limitarsi ad una valutazione economica di natura quantitativa che si basi su un confronto tra il valore complessivo dell’operazione oggetto del contratto, da un lato, e i costi posti a carico del consumatore dalla clausola contrattuale di cui trattasi, dall’altro (§ 45). Inoltre, ai sensi dell’art. 4, par. 2, dir. 93/13, il controllo di abusività non può vertere né sulle clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto, né su quelle che riguardano la perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché entrambi tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile, secondo una valutazione che spetta compiere al giudice del rinvio (§§ 49-50).
Pur tenendo conto di tali aspetti, la Corte di giustizia non ritiene che essi siano d’ostacolo all’accertamento del carattere abusivo della clausola oggetto d’esame. Infatti, da una parte, evidenzia che, nel caso di un contratto di credito, la verifica di un significativo squilibrio contrattuale può essere compiuta se i servizi forniti come contropartita dei costi extra-interessi non rientrano tra le prestazioni effettuate dal professionista nell’ambito della conclusione o della gestione del contratto, o se gli importi posti a carico del consumatore a titolo di spese di concessione e di gestione del mutuo appaiono manifestamente sproporzionati rispetto all’importo prestato, come avveniva nel caso di specie (§§ 47-48). D’altra parte, si sottolinea altresì che i servizi connessi all’esame, alla concessione e alla gestione del credito non rientrano tra le prestazioni principali di un finanziatore, con la conseguenza che le relative clausole non attengono alla definizione dell’oggetto principale del contratto, sottraendosi alla prima categoria di clausole esenti dal controllo di abusività in forza dell’art. 4, par. 2, dir. 93/13 (§ 51). Per quanto riguarda la seconda categoria di clausole esenti, concernenti la congruità del corrispettivo rispetto ai servizi o ai beni forniti in cambio, si rileva come la disciplina polacca abbia recepito l’esenzione in modo restrittivo, mostrandosi più protettiva dei consumatori, in quanto consente ai giudici nazionali di valutare il rapporto tra il prezzo e il servizio laddove si tratti di clausole che non sono connesse alle prestazioni principali delle parti (§ 53).
Passando alle altre questioni pregiudiziali, la Corte ha esaminato in secondo luogo i profili procedurali segnalati dal giudice di rinvio, in ragione dei quali, ad avviso della giurisprudenza polacca, l’interesse ad agire in un’azione giudiziaria volta ad accertare l’inopponibilità di una clausola abusiva non sussisterebbe qualora il consumatore disponesse di un altro ricorso più protettivo dei suoi diritti, in particolare un’azione di ripetizione dell’indebito, o qualora egli potesse far valere l’inopponibilità della clausola contrattuale in risposta ad un’azione riconvenzionale di adempimento intentata nei suoi confronti dal professionista, sulla base della clausola in questione. In entrambe le situazioni, l’esclusione dell’interesse ad agire mina il principio di effettività della tutela consumeristica, non rivelandosi peraltro funzionale ad esigenze di economia processuale, dovendo comunque il giudice nazionale esaminare la questione oggetto dell’azione di accertamento nell’ambito dell’azione riconvenzionale proposta dal professionista (§§ 74-76).
Da ultimo, la Corte lussemburghese si è soffermata sulle conseguenze applicabili a seguito della verifica del carattere abusivo di una clausola relativa alle modalità concrete di pagamento del consumatore-mutuatario. In particolare, la Corte ha risposto alla domanda del giudice di rinvio circa la possibilità di dichiarare nullo il contratto di mutuo, laddove quest’ultimo sia privato della pattuizione secondo cui il consumatore avrebbe dovuto effettuare i pagamenti delle rate solo in contanti tramite un agente del creditore durante le visite di quest’ultimo al domicilio del consumatore (pattuizione ritenuta abusiva dal giudice di rinvio non rispondendo ad alcun altro obiettivo se non quello di porre il mutuante in condizione di esercitare una pressione illegittima sul mutuatario).
A tal proposito, la Corte osserva che, in base all’art. 6, par. 1, dir. 93/13, un contratto nel quale siano presenti clausole abusive può essere dichiarato nullo quando, in applicazione del diritto nazionale, non sia possibile mantenere in vita il contratto senza le suddette clausole, salva la possibilità eccezionale di sostituire ad una clausola abusiva una disposizione nazionale di natura suppletiva o una disposizione applicabile in caso di accordo tra le parti, nei soli casi in cui la nullità del contratto sarebbe pregiudizievole per i consumatori. Non ricorrendo quest’ultima fattispecie nel caso in esame, la nullità del contratto può essere comunque esclusa qualora la pattuizione ritenuta abusiva sia separabile dalle altre pattuizioni contenute nella clausola senza la quale il contratto non potrebbe essere mantenuto (§ 90-91). Nel caso di specie, ad avviso della Corte, la pattuizione che determina le modalità concrete di pagamento da parte del consumatore risulta distinta e separabile dalle altre pattuizioni contenute nell’unica clausola riguardante le obbigazioni del consumatore. Infatti, le modalità concrete di pagamento rivestono carattere accessorio rispetto agli elementi che definiscono la sostanza della clausola in questione, come quelli relativi alla determinazione degli importi da pagare e delle scadenze alle quali tali pagamenti devono aver luogo. Di conseguenza, la soppressione della pattuizione in esame non è tale da incidere sulla sostanza stessa della clausola in cui è contenuta, potendo il consumatore adempiere il suo obbligo di rimborso, alle condizioni previste dal contratto, scegliendo qualsiasi modalità di pagamento tra quelle ammissibili in forza del diritto nazionale (§ 93).
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