Cass., sez. I, ord. 1° giugno 2023, n. 15521

In tema di società partecipate da enti pubblici, i patti parasociali, avendo natura di convenzioni negoziali di diritto comune, ove sottoscritti dal Sindaco in mancanza di deliberazione del Consiglio comunale, non sono nulli, ma annullabili, e possono essere convalidati, ai sensi dell’art. 1444 c.c., qualora l’amministrazione, cui spetta in via esclusiva l’azione di annullamento, vi abbia dato volontaria esecuzione, pur conoscendo o dovendo conoscere la causa di invalidità, ovvero ratificati mediante l’adozione di una delibera autorizzativa successiva del Consiglio. 

La pronuncia in esame trae origine dal giudizio arbitrale promosso da S.H. nei confronti del Comune di T., concernente la domanda di risarcimento del danno per inadempimento dei patti parasociali sottoscritti nel 2001 e rinnovati nel 2006 relativi all’amministrazione della società da entrambi partecipata Acque Albule S.p.a. Il lodo arbitrale disattendeva integralmente le argomentazioni dell’ente pubblico che veniva, perciò, condannato al risarcimento come da domanda attorea. Seguiva impugnazione innanzi alla Corte d’Appello, anch’essa respinta. 

Il Comune ricorreva per Cassazione denunziando, tra le altre, la violazione degli artt. 21-septies e 21-octies l. n. 241 del 1990, e dell’art. 42 d.lgs. n. 267 del 2000, perché i patti parasociali, dei quali era stato lamentato l’inadempimento, non potevano dirsi validamente rinnovati con la sottoscrizione del sindaco in mancanza della preventiva delibera autorizzativa del consiglio comunale. In particolare, secondo il ricorrente, il rinnovo era avvenuto giusta sottoscrizione del sindaco autorizzato da un organo incompetente: la giunta comunale, anziché il consiglio, con conseguente nullità dei patti, insuscettibile di ratifica.

Secondo la S.C., le doglianze del Comune non hanno alcun fondamento.

Invero, a parere dei giudici di legittimità, il patto parasociale corrisponde a una convenzione negoziale comprensiva di più ipotesi distinte per oggetto e funzione, il cui elemento comune è correlato alla regolamentazione extrasociale dei diritti e degli obblighi nascenti dalla partecipazione alla società: regolamentazione realizzata tra tutti o tra alcuni dei soci. Atteso il carattere interindividuale del patto, unitamente alla mancanza di un vero rilievo organizzativo, i patti parasociali sono assimilabili alla convenzione contrattuale di diritto comune, quanto ai criteri di interpretazione, alle valutazioni in punto di validità e allo stesso controllo di meritevolezza.

In caso di società partecipata, entrano in gioco i concetti caratterizzanti l’atto o il contratto della pubblica amministrazione.

Nella teoria generale degli atti amministrativi, le cd. autorizzazioni interorganiche rilevano con riferimento a quegli atti autorizzatori che debbono essere richiesti da un organo a un altro appartenente allo stesso ente. La tesi prevalente in dottrina e in giurisprudenza riflette in questi casi la teoria del presupposto di validità, che tuttavia, ove si discorra (come nella specie) di autorizzazione al semplice compimento di un contratto o di una convenzione negoziale (e non quindi all’esercizio di un diritto fondamentale), sostanzia l’autorizzazione a semplice presupposto interno. Anche laddove si consideri l’autorizzazione quale presupposto di legittimità, la convenzione negoziale non preceduta da debita autorizzazione dell’organo competente non può comunque considerarsi nulla, poiché la mancanza di autorizzazione non rientra nel novero delle ipotesi di cui all’art. 1418 c.c.

L’atto, ove stipulato, resterebbe semmai semplicemente annullabile per l’erronea acquisizione

della volontà negoziale in rapporto al profilo della competenza dell’organo deputato ad autorizzarlo.

In generale, secondo orientamento costante della S.C., l’eccesso di potere dell’organo competente a concludere un contratto, la rappresentanza senza potere o la mancanza di deliberazione da parte dell’organo munito del potere a contrarre si traducono in difetti del consenso dell’ente pubblico. 

Tali mancanze comportano l’annullabilità del contratto privatistico, la quale può essere fatta valere esclusivamente dall’ente nel cui interesse sono poste le norme procedimentali violate e il contratto può essere convalidato, ai sensi dell’art. 1444 c.c. ogni volta in cui l’amministrazione, conoscendo o potendo conoscere la causa di invalidità, vi abbia dato volontaria esecuzione.

Nel caso di specie, non solo l’atto non era stato impugnato secondo i termini previsti per l’annullamento degli atti amministrativi, ma era stato pure successivamente ratificato e, in concreto, eseguito. Non era emersa, in altri termini, alcuna intenzione dell’Ente comunale di delegittimare l’atto compiuto per violazione delle regole vigenti in tema di attribuzione del potere, ravvisandosi piuttosto un’ipotesi di convalida dell’atto ritenuto annullabile ai sensi dell’art. 1444 c.c., avendo la pubblica amministrazione dato volontaria esecuzione nella consapevolezza della causa d’invalidità. 

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