La clausola statutaria relativa al cambio di struttura nell’organo gestorio di una s.r.l. va interpretata in base alle regole sulla interpretazione del contratto, di cui agli art. 1362 e ss. c.c., che, in quanto volte ad offrire criteri ermeneutici per tutti gli atti privati, sono sicuramente applicabili anche agli statuti di società, che di tale natura partecipano.
La controversia trae origine dalla domanda di pagamento dei compensi e di risarcimento del danno avanzata da AA., BB. e CC. nei confronti della società U.N.I.R.E. s.r.l., per avere l’assemblea esercitato un potere di revoca degli amministratori a prescindere dall’effettiva esistenza di una giusta causa. La convenuta contestava la pretesa degli attori, sostenendo che lo statuto della società all’articolo 11 stabiliva la durata limitata del rapporto con l’organo amministrativo ed il potere di revoca in ogni tempo anche in assenza di giusta causa, prevedendo che «Gli amministratori durano in carica 5 anni e sono rinnovabili. L’assemblea ha facoltà in qualunque tempo di sostituire al Consiglio di amministrazione un amministratore unico ed a quest’ultimo un Consiglio di amministrazione»; nondimeno, il tenore letterale della clausola di cui all’art. 11 dello statuto escludeva qualsiasi spettanza a titolo di compensi e risarcimento del danno a favore degli amministratori in conseguenza della revoca prima del termine. Secondo la società, il potere di revoca era stato esercitato conformemente alla clausola statutaria di cui all’art. 11 e, per conseguenza, nessun ristoro economico era dovuto ai componenti del C.d.a. sostituito da un amministratore unico.
D’altro canto, gli attori sostenevano che la clausola statutaria in esame avrebbe dovuto essere interpretata alla luce dei canoni di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. e che, dalla corretta interpretazione della clausola alla luce dei suddetti criteri, non emergeva alcuna esclusione pattizia o rinuncia degli amministratori revocati ante tempus ad un indennizzo o risarcimento del danno da revoca senza giusta causa.
Nei primi due gradi di giudizio veniva dichiarata la soccombenza degli attori. I giudici di merito escludevano infatti che gli artt. 1362 e 1370 c.c. fossero applicabili all’attività d’interpretazione delle clausole statutarie, essendo tali norme destinate esclusivamente al contratto in generale.
Gli amministratori destituiti ricorrevano, quindi, per Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., nonché degli artt. 1129 co.2, 1723, 1724, 1725 e 2383, co. 2 c.c., oltre alla violazione degli artt. 1370 e 1371 c.c..
Disattendendo le argomentazioni della Corte d’Appello, la S.C. afferma che: «le regole sulla interpretazione del contratto, di cui agli artt. 1362 c.c., in quanto volte ad offrire criteri ermeneutici per tutti gli atti privati (ed anche oltre quelli), sono sicuramente applicabili anche agli statuti di società, che di tale natura partecipano».
Venendo alla fattispecie in esame, ad avviso della S.C., il Tribunale e la Corte d’Appello non avevano correttamente applicato i criteri di cui agli artt. 1362, 1363, 1367 c.c., in quanto ravvisavano una preventiva rinuncia ad un indennizzo in una clausola che, invece, era semplicemente volta a fissare la struttura dell’organo gestorio. Le corti territoriali avevano, quindi, proposto un’interpretazione anti-letterale della regola contrattuale, senza tuttavia esplicitarne le motivazioni, né i criteri d’interpretazione all’uopo adottati.
Nel caso di specie, la corte territoriale, interpretando l’atto privato in ossequio ai dettami imposti dalle regole di cui agli artt. 1362 ss. c.c., avrebbe dovuto indagare sulle reali intenzioni delle parti e sull’effettiva portata delle clausole all’interno del testo, valutando se fosse stata prevista una deroga alla generale tutela apprestata dall’ordinamento in favore dell’amministratore revocato senza giusta causa, e da questi, pertanto, condivisa al momento dell’accettazione della carica, non necessariamente mediante un accordo ad hoc tra la società e l’amministratore ma – appunto – all’interno di una previsione generica dello statuto.
Infine, oltre alla violazione dei canoni ermeneutici imposti in tema di contratto in generale ed applicabili a tutti gli atti privati, ivi comprese anche le clausole contenute negli statuti di società, secondo la S.C., le corti territoriali avevano altresì violato la norma di cui all’art. 1725, comma 1, c.c.– applicabile alla s.r.l. poiché il rapporto di amministrazione è pur sempre riconducibile nel genus del mandato – che impongono l’obbligo di risarcire il danno a fronte di una revoca del mandato avvenuta senza giusta causa. Benché, infatti, la regola di cui all’art. 1725 c.c. abbia carattere dispositivo e sia, quindi, suscettibile di deroga nell’ambito dell’autonomia contrattuale, spetta al giudice avvalersi delle regole di ermeneutica contrattuale per individuare la specifica previsione negoziale idonea a raggiungere tale scopo.
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